Il primo giorno del resto della tua vita

photo © Jarek Kotomski, Piano to Zanskar

di Ercole Giammarco

 

In un bel passaggio di Verdi colline d’Africa Ernest Hemingway scrive “vivere veramente, non puramente trascorrere i giorni”. Avevo diciassette anni quando ho letto quel libro, la vita per me era un sogno a colori, e non conoscevo ancora quella sua maledetta forza di gravità che tende a schiacciarti verso giorni tutti uguali e senza senso se smetti di essere vigile e non ti sforzi, ogni mattina, a pensare “bene, oggi è il primo giorno del resto della mia vita, diamoci da fare, e non sprechiamolo”.

Quarant’anni dopo averla letta (quaranta: wow!) quella frase mi torna in mente subito dopo aver visto Piano to Zanskar, un film proposto da ITACA on Demand all’interno del programma streaming BANFF 2021 che prevede una selezione di film tra i finalisti al Banff Mountain Film Festival.

La storia si racconta in poche righe: Desmond O’Keeffe è un liutaio londinese di 65 anni che da 40 aggiusta pianoforti. “Il lavoro più noioso del mondo. Tanto noioso che è noioso persino pensare a tutti gli anni che ho speso in quel lavoro”.

Poi arriva una richiesta singolare: consegnare un pianoforte Broadwood and Sons a Lingshed, nella regione dello Zanskar (Ladakh), una terra racchiusa tra le imponenti catene montuose dell’Himalaya e del Karakorum a oltre 4.000 metri. È un villaggio tra i più isolati al mondo e ancora oggi raggiungibile solo a piedi, ma solo otto mesi l’anno, quando la neve dell’inverno si è sciolta.

La richiesta viene da una cooperatrice allo sviluppo tedesca, che ha deciso di andare a lavorare per un anno, come insegnante di musica, a bambini che non sanno neanche cosa sia o come sia fatto un pianoforte.

Desmond è alle soglie della pensione, la sua prospettiva sarebbe di passarla “seduto su una sedia a sdraio mangiando torta al limone” ma fa una scelta diversa: decide di consegnarlo, quel pianoforte, nonostante l’impresa sembri folle, o forse proprio per questo. Il momento in cui parla della sua decisione è uno dei più intensi del film: non riflette sul come sarà possibile farlo, non si chiede perché farlo. Semplicemente decide di farlo, con la stessa naturalezza con la quale per quarant’anni ha deciso che andava cambiata una corda, o che il telaio di un pianoforte andava ristrutturato.

photo © Jarek Kotomski, Piano to Zanskar

E per il Ladakh parte davvero, con una sua giovane assistente (pianista e piuttosto freak), con un altro giovane musicista che aveva deciso di prendere un anno sabbatico per riflettere sulla sua vita (decisamente “alternativo” anche lui), e con un piano di 90 chili smontato e imballato per portarlo in giro sui sentieri impossibili dello Zanskar.

Insieme al pianoforte Desmond O’Keeffe porta in Ladakh i suoi 65 anni e il suo corpo curvo e appesantito da una vita intera spesa dietro un tavolo da lavoro, a stringere viti e martellare tasselli. Ma porta con sé anche un sorriso malinconico e dolce che si è aperto al sogno di fare una cosa bella, impossibile e poetica: portare un pianoforte in un villaggio dove solo un vento senza fine suona la sua musica.

photo © Jarek Kotomski, Piano to Zanskar

photo © Jarek Kotomski, Piano to Zanskar

Epilogo.

Per scrivere l’articolo mi sono informato sui protagonisti del documentario. E ho scoperto che Desmond “Gentle” O’Keeffe, come lo chiamavano i suoi amici, è morto nel 2108, pochi mesi dopo il ritorno dal suo viaggio, che ha scelto di affrontare come se avesse saputo che sarebbe stato l’ultimo: da vero saggio, di quelli che vivono come se ogni giorno fosse il  primo giorno del resto della loro vita, ma sanno soprattutto che “Il momento migliore per piantare un albero è vent’anni fa. Il secondo momento migliore è adesso.”

Respect, Mr Desmond, respect!

photo © Jarek Kotomski, Piano to Zanskar

photo © Jarek Kotomski, Piano to Zanskar