Free Solo

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di Alessandro Gogna

 

Alex Honnold, trentaduenne di Sacramento con la faccia da ragazzino e uno dei climber più forti oggi sulla scena mondiale, ha scelto la via Freerider, aperta nel 1998 dal tedesco Alex Huber sulla parete californiana di El Capitan, per compiere quella che è stata definita dal The New York Times “probabilmente la più grande impresa nella storia dell’arrampicata su roccia”: quasi mille metri di dislivello scalati in free solo, cioè senza corda e senza protezioni.
Honnold ha effettuato l’ascensione sabato 3 giugno 2017, iniziando a salire alle 5.32 del mattino e raggiungendo la vetta in sole 3 ore e 56 minuti.
Il film Free Solo non è soltanto un racconto per chi pratica attivamente l’arrampicata, ma è un ritratto intimo delle emozioni e delle motivazioni di un climber professionista che si prepara a realizzare il suo più grande sogno.

Che cosa spinge un uomo a confrontarsi con i limiti di quanto è ritenuto possibile? Quale percorso deve compiere per raggiungere un simile risultato? A testimoniare le diverse fasi dell’impresa e i momenti più appassionanti sono i racconti della famiglia, della fidanzata, degli amici e del dream-team tecnico, inseriti tra le immagini più strepitose della straordinaria avventura.
Free Solo ha vinto molti premi, fino all’Oscar nel 2019 come miglior documentario, con un successo di pubblico che stupisce per un’opera cinematografica sulla montagna, per quanto bella (chi frequenta il nostro Banff Festival lo sa bene, perché siamo stati noi a distribuire il film in Italia, con oltre 300 spettacoli in circa 100 città).

Ma perché una pellicola su un’impresa così estrema riesce a parlare alla pancia di un pubblico così grande? Perché le emozioni che trasmette sono così trasversali?

 

La nostra società è immersa nel liquido amniotico appagante della sicurezza, così piacevole da illuderci di poter soddisfare qualunque nostro desiderio. Ma la sicurezza alla lunga sottrae carica a ciò che desideriamo, riuscendo a confondere le nostre capacità di godere il momento e di vivere appieno una tenace preparazione alle nostre realizzazioni, quelle che infatti non abbiamo la spinta necessaria per mettere in cantiere. La storia di Free Solo ci riporta alla realtà, alla dura esposizione, alla fatica necessarie per perseguire un vero obiettivo.

Siamo in grado di mantenere l’autocontrollo, come ha fatto Alex per centinaia di metri, eseguendo complicate sequenze, durante le quali basta un dettaglio fuori posto a decidere tra la vita e la morte? Una buona parte della sua compostezza deriva senza dubbio dalla sua accurata preparazione, con allenamenti costanti e specifici, nonché dalla memorizzazione delle sequenze esatte di ogni passaggio. Ma tutti noi sappiamo che non può essere sufficiente, e questa si chiama paura, la migliore amica dei nostri desideri.
Alex non doveva gestire solo le proprie paure e le difficoltà tecniche: quando si fa un film le esigenze di spettacolo possono diventare presenza assai ingombrante nei fantasmi del protagonista.

Non sono pochi infatti coloro che criticano la disciplina del free solo, alcuni con una smorfia di perplessità dubbiosa altri con evidente aggressività. E non sono pochi neppure coloro che lo lodano incondizionatamente, dimostrando di comprendere nulla di ciò che realmente significhi e di esserne soltanto affascinati. Entrambe le categorie si situano nel mondo delle fazioni. Come se dividerci in giudizi contrapposti favorisse la comprensione del fenomeno.

L’arrampicata e l’alpinismo solitari esistono da sempre, ma qui li viviamo in tempo reale. Si crede che una troupe di ripresa piazzata a pochi metri possa intervenire in caso di bisogno. Ma, se uno cade, in genere è d’improvviso e nessuno ha il tempo di aiutarlo. I movimenti imparati a memoria escludono che ce ne sia uno azzardato in modo tale da provocare quell’esitazione che permetterebbe alla troupe di lanciare una corda di soccorso. Dunque il free solo è davvero pericoloso, perché il minimo errore è fatale, senza alcuno sconto. Ne deriva che l’errore più imperdonabile è la confidenza.
Di certo, in una grande impresa come quella su Freerider, Honnold non ha mai abbassato la guardia, la sua concentrazione è stata la sua migliore alleata. Essere vigili, concentrati e “freddi” costa tanta energia, il cui flusso regolare può essere garantito solo dall’alleanza tra la propria volontà e il proprio essere profondo, quello che alla fine determina non solo i nostri successi o insuccessi ma che è anche padrone della nostra reale voglia di vivere o di morire. Ripeto “reale”, perché tutti a parole vogliamo vivere, ma sbagliamo quando pensiamo che quel poco che riusciamo a vedere o pensare sia l’unica realtà che ci circondi e quando soprattutto riteniamo con convinzione che non ci sia nulla d’incognito nei nostri desideri.

Il free solo richiede che questa alleanza sia rinnovata giorno per giorno, a proprio agio con le diverse componenti di se stessi, senza permettere intrusioni di noia, abitudine, fame di gloria o ego-inflazione. Molto nemica è la spensieratezza, quella che colpisce quando nessuno se lo aspetta.
Il gestirsi bene di Honnold dovrà accettare se e quando non ci saranno più le condizioni effettive per un buon accordo interiore. Per fare questo, semplicità e understatement funzionano benissimo, purché appunto non siano ostacolati da noia, abitudine, fame di gloria o ego-inflazione.