Vertical Love

photo © Burning the Flame, Nameless Tower (Pakistan)

di Ercole Giammarco

“Non chiederti di cosa ha bisogno il mondo.
Chiediti che cosa ti rende felice e poi fallo.
Il mondo ha solo bisogno di persone felici”
Antoine De Saint-Exupéry

 

La Nameless Tower, in Pakistan, con i suoi 6521 metri di altezza sembra una gigantesca matita da carpentiere spuntata, usata da Dio per disegnare il mondo prima di abbandonarla in mezzo a una catena di montagne inaccessibili.

Burning the Flame è il documentario, presente nella diciassettesima rassegna cinematografica Reel Rock, che racconta la salita della Nameless Tower di Jacopo Larcher e Barbara Zangerl, seguendo la magica linea di Eternal Flame. Barbara e Jacopo sono stati sei giorni in parete, dal 18 al 23 luglio 2022, per scalare in libera 1200 metri tra i più impegnativi al mondo in 24 “tiri”. Prima di Barbara Zangerl nessuna donna c’era riuscita prima.

Ho voluto vedere Burning the Flame una seconda volta per cercare di capire come mai mi era piaciuto cosi tanto. Ok, le riprese erano spettacolari, l’eleganza con cui Barbara e Jacopo arrampicavano era suprema, il paesaggio era, letteralmente, mozzafiato. Cosi come l’audio in presa diretta e i close up sulle loro mani martoriate dopo 4 giorni di scaramucce con la roccia viva davano l’impressione di essere lì, insieme a loro.

photo © Burning the Flame

Ma non era quello il punto. Questo documentario ha qualcosa di diverso dagli altri: Jacopo e Barbara, nelle poche parole scambiate durante la salita, nei loro volti sorridenti anche nei momenti di massima concentrazione, nei loro gesti essenziali, precisi, trasferivano qualcosa che spesso manca all’alpinismo estremo: l’allegria della salita. L’alpinismo estremo spesso ha a che fare con il brivido di un dialogo con la morte, un brivido che gli toglie il sorriso e che tuttavia è la benzina di non pochi sportivi. Se avete letto libri come Il richiamo del silenzio di Joe Simpson o Memorie di un serial climber di Mark Twight avete capito di cosa sto parlando.

Questo documentario, invece, è un’esplosione di gioia di vivere.

Jacopo ha 33 anni e ha iniziato ad arrampicare a dieci anni, durante un corso del CAI a cui si era iscritto un po’ per caso. Da allora non ha più smesso. Quella cosa ce l’aveva dentro dalla nascita, e il destino lo ha solo aiutato a riconoscerla.
Oggi arrampicare è diventata la sua vita e il suo lavoro.

“Non so perché mi piaccia cosi tanto, forse perché mi da l’emozione della libertà assoluta, perché non ho mai pensato che arrampicare fosse una sfida contro la vita, ma piuttosto un modo per comprenderla, questa vita, e per conoscere il mondo”.

photo © Burning the Flame, Jacopo Larcher

Le sue parole sono fresche, tranquille, controllate. Devo ricordarmi che sono al telefono con uno degli alpinisti più bravi in circolazione: la voce potrebbe essere quella di un dottorando del Politecnico di Milano. La serenità che mi trasmette quando parla è il ricordo più piacevole che mi resta di quella telefonata.

Non si arrampica sulle parole, Jacopo Larcher: parla in modo semplice, perché semplici e lineari, cioè onesti, sono i suoi pensieri, le sue emozioni, i suoi sogni.
Arrampicare non è una sfida, è un obiettivo da raggiungere passo dopo passo. Le sfide a volte ci vengono incontro, non siamo noi a cercarle”.
Tanto per togliere dalla narrazione dell’alpinismo certe incrostazioni retoriche e superomistiche che a volte l’appesantiscono.

Poi continua, come per esplicitare un po’ di cose che in realtà mi aveva già fatto capire.
La qualità che preferisco è l’onestà, la trasparenza, il difetto peggiore l’egocentrismo, e la chiusura mentale”.

Una domanda, tanto per non perdere l’occasione di essere mainstream, gliela faccio sul climate change. Ecco la risposta: “Sono molto spaventato ma sono anche egoista, perché con tutti i viaggi che affronto non posso avere uno stile di vita ecofriendly, e tuttavia non ci rinuncio: non mi sento nella posizione di parlare di questo tema in modo credibile”.

A proposito di onestà.

photo © Burning the Flame, Barbara Zangerl

L’altra domanda obbligatoria, sulla gender equality, posso invece risparmiarmela: basta vedere nel film come si alternano da capocordata, lui uomo, lei donna, mentre affrontano quei tiri impossibili su Eternal Flame.

Non vi ho detto ancora una cosa: fra Jacopo e Barbara non c’è solo un legame sportivo. Sono anche fidanzati.

Si poteva cogliere, guardando la prima parte del film, come in controluce una complicità speciale, il piacere evidente di compiere quell’impresa insieme.
E alla fine si sono dati un piccolo bacio sulle labbra. Un piccolo bacio a coronamento di 6 giorni passati in parete, fino a seimila metri, impegnati in un’ascensione semplicemente impossibile per quasi tutti gli umani. L’ho trovato un momento davvero commovente ed elegante, come sono sempre eleganti e commoventi le cose grandi appena sussurrate.

Mettere gioia nei nostri giorni affrontando gli ostacoli quotidiani col sorriso. Non c’è bisogno di essere grandi climber, possiamo farlo anche noi.

C’è un collegamento fra sorridere, amare ed essere liberi. E i visi di quei due ragazzi in cima alla Nameless Tower me lo hanno indicato.