Mutazione genetica della prima ascensione

photo © Giovanni Danieli. Space Vertigo

di Alessandro Gogna

Prendiamo ad esempio l’ultima grande salita dolomitica, la prima ascensione di Space Vertigo sulla parete nord della Cima Ovest di Lavaredo.

I primi salitori, le tre guide alpine Alessandro Baù, Claudio Migliorini e Nicola Tondini, ne dettero notizia a fine settembre 2019, dichiarando apertamente che non avrebbero considerato chiusa la loro avventura fino a che non fossero riusciti a salire tutte le 21 lunghezze di corda in arrampicata libera: fino a che cioè non si potesse affermare che Space Vertigo fosse stata salita in redpoint. Eppure la loro impresa chiudeva degnamente una lunga serie di tentativi, di su e giù per la parete, compiuti nelle estati tra il 2016 e il 2019.

Una salita che possiamo definire, pur nella sua spettacolare modernità, di ordine classico, realizzata con un’apertura rigorosamente dal basso, senza l’uso di spit se non alle soste, bensì con i soli mezzi trad, cioè chiodi, nut e friend. Una salita che si affianca del tutto autonoma a itinerari storici come la via in ricordo di Jean Couzy, la Alpenliebe (con la quale ha in comune una sosta) e la via degli Svizzeri: condividendo con queste il vuoto più spaziale.

I tre primi salitori erano così sicuri della loro etica che non dettero neppure un nome al loro itinerario. O per lo meno non lo resero pubblico.

La loro perseveranza e la loro bravura sono state premiate il 12 settembre 2020, quando i tre hanno raggiunto la vetta della Cima Ovest dopo quattro giorni di salita continua, bivaccando in portaledge e riuscendo appunto a salire in libera tutte le lunghezze, con difficoltà di IX e IX+ su sette tiri, e di X- su una lunghezza. Solo cinque tiri sono sull’ordine del VI, mentre per il resto si parla di parecchi tiri sull’ordine dell’VIII/VIII+ e di uno di IX-. Solo l’ultima lunghezza, dopo la sosta in comune con la via Cassin, è di IV+.

Il primo giorno (9 settembre 2020) è stato caratterizzato da un inizio piuttosto difficoltoso, a causa dell’altissima umidità e dell’assenza totale di aderenza che li ha costretti a scendere dopo soli tre tiri liberati. Il giorno seguente però sono ripartiti e, con due notti passate in portaledge, sono riusciti nella libera dell’intera via: ogni tiro è stato salito in libera da capocordata da almeno uno dei tre. Solo in cima hanno battezzato la loro via, Space Vertigo.

Questa grande impresa porta a profonde riflessioni su come si siano evoluti l’alpinismo e l’arrampicata in generale. Probabilmente le giovani generazioni non vedono questi grandi cambiamenti: per loro è normale che non si possa e non si debba parlare di prima ascensione fino a che l’itinerario non sia salito interamente in libera. Ma per chi, come me e tanti altri, ha vissuto addirittura l’esperienza degli anni Sessanta, tutto ciò è decisamente rivoluzionario.

photo © Matteo Pavana. Da sinistra Nicola Tondini, Alessandro Baù e Claudio Migliorini in vetta

Anche se il primo a parlare di limitazione della tecnica e del materiale fu Albert Frederick Mummery ancora nel lontano fine Ottocento, il suo by fair means non è che sia sempre stato applicato, anzi. Fino a quasi tutti gli anni Sessanta non si badava ai mezzi, si era concentrati sul successo, sulla “vittoria” sulla parete: la prima ascensione c’era nel momento in cui si metteva piede in vetta, non importava quanti mezzi artificiali fossero stati usati.

I primi a ribellarsi a questa prassi furono indiscutibilmente Reinhold Messner ed Enzo Cozzolino, anche se molti alpinisti li seguirono subito e ne rafforzarono le tesi con scritti e opere. Sarebbe troppo lungo qui raccontare come e qualmente allora si cominciasse a parlare di assassinio dell’impossibile per l’uso eccessivo di chiodi e soprattutto di chiodi a pressione. Mi limito a osservare che fu in quel momento che la prima ascensione tradizionale cominciò a offuscarsi nei suoi valori di conquista, per focalizzarsi invece sul come questa venisse compiuta. Da quel momento, nei successivi cinquanta anni, cominciò un processo per il quale oggi non esiste quasi più itinerario storico, anche difficilissimo, che non sia stato salito in libera totale. Le notizie di prime RP (rotpunkt) hanno affollato le cronache alpinistiche: nel contempo si sviluppava l’arrampicata sportiva, una disciplina nella quale l’attaccarsi a una protezione era ed è considerata “fallimento”. L’alpinismo e l’arrampicata multpitch, arricchiti da questa nuova etica, proseguivano il loro cammino trionfale verso sempre nuove avventure. E, a sottolineare ancor più questa tendenza, ecco che l’arrampicata artificiale ha un’evoluzione tale da distanziarla in modo definitivo dall’alpinismo classico: sull’A5 e sull’A5+ non si parla neppure di libera!

È dell’inizio del nostro secolo XXI la tendenza a non considerare “aperta” una via se non dopo la sua salita in libera (rotpunkt o redpoint). Nel clima, spesso di competizione, delle élite gli apritori spesso hanno taciuto l’avvenuto termine dei loro lavori su un itinerario, per la paura che qualcuno soffiasse loro la “prima ascensione” precedendoli in una salita tutta in libera!

E questo dà la misura definitiva di quanto ormai la “prima ascensione” sia mutata geneticamente. Un cambiamento certamente positivo, che fa ben sperare nell’evoluzione ulteriore del gioco-alpinismo.

photo © Gabriele Donati. Durante l’apertura di Space Vertigo

photo © Giovanni Danieli. La parete nord della Cima Ovest di Lavaredo con alcune delle vie presenti. In rosso Space Vertigo; in verde Alpenliebe; in viola, via in ricordo di Jean Couzy; in arancio, via degli Svizzeri; in bianco, via Cassin-Ratti.​