Un uomo in fuga

photo © Samarcanda Film, Paolo Cognetti. Sogni di Grande Nord

di Ercole Giammarco

“E la vita nei boschi sarebbe una fuga?
Fuga è il nome che le persone incagliate
nelle secche dell’abitudine
danno allo slancio vitale.”

Sylvain Tesson

 

Sogni di Grande Nord, il recente docu-film pubblicato in streaming su itacaondemand.it, è il racconto di un viaggio dalle cime delle Alpi a quelle dell’Alaska. Ne è protagonista, oltre che sceneggiatore e regista, Paolo Cognetti: una buona occasione quindi per parlare di uno dei migliori giovani scrittori italiani.

Paolo Cognetti è diventato famoso vincendo lo Strega 5 anni fa con un suo romanzo breve (o racconto lungo), Le otto montagne, tradotto poi in tutto il mondo per la buona ragione che a quel giovane scrittore, che aveva al suo attivo già un paio di romanzi e un paio di raccolte di racconti, era uscita fuori una storia perfetta. Per l’asciuttezza della lingua, la capacità di descrivere quello che la montagna nasconde più di quello che manifesta, e di disegnare personaggi indimenticabili con due tratti di matita e scarnissimi dialoghi.

Basterebbe questo per giustificare il suo successo, ma Cognetti è anche un personaggio perfetto per i media perché di montagna non ha solo scritto: lui in montagna ci è andato a vivere, in una baita di legno in mezzo al nulla di una valle secondaria della Val d’Aosta, fuggendo da una città che lo strangolava con il suo cemento, i suoi ritmi stressanti, le richieste ossessive di performance calcolate solo col metro di un conto corrente bancario.

photo © Samarcanda Film, Paolo Cognetti. Sogni di Grande Nord

Fuggendo, appunto…ed è la fuga il filo che unisce tutta la produzione di questo scrittore.

In genere si scrive mossi da due diverse pulsioni: per il sacrosanto desiderio di essere Altrove, o al contrario per il bisogno di restare fermi e confrontarsi con se stessi.

L’autore de Le otto montagne (qualche mese fa è uscito col suo nuovo romanzo, La felicità del lupo di cui la cosa più riuscita è senz’altro il titolo) è un scrittore del primo tipo, in continua fuga, una fuga che è un rifiuto radicale del cosiddetto mondo normale, fatto di un mutuo per la casa, di un capo ingombrante, di una famiglia, di sovrastrutture che nascondono il fondo limpido della vita, visibile se solo fosse possibile viverla più autenticamente. E allora si parte per un viaggio, e magari si sceglie lo spazio dove ogni utopia è possibile: la Natura selvaggia, e la solitudine.

Per citare due Maestri dichiarati di Cognetti, sono le stesse pulsioni che hanno portato Jack London a cercare l’oro nel grande Nord, e poi a girare il mondo su un veliero, o quelle di Ernest Hemingway, che nel suo tentativo di “vivere veramente, non puramente trascorrere i giorni” è passato dalla pesca dei pesci gatto nei laghi del Michigan alla guerra civile spagnola, dalla boxe alla caccia al leone. Per entrambi questi scrittori la fine del viaggio è stato il fondo di un bicchiere.

photo © Samarcanda Film, Paolo Cognetti e Nicola Magrin. Sogni di Grande Nord

Penso sia anche una questione anagrafica: quando si è giovani si cerca il senso della vita fuori di se stessi. Poi si cresce, e un senso provi a cercarlo (avventura di gran lunga più vertiginosa, e complicata) dentro di te.

Ma Paolo Cognetti ha appena quarant’anni, e fa parte di quelle anime inquiete che domandano alla Natura il senso del loro stare al mondo, e non si accorgono ancora che la Natura è silenziosa, non risponde, e si limita a rimandare le eco delle nostre domande.

Non dovete biasimarmi se parlo alle stelle”, scrive Henry David Thoerau (altro punto di riferimento centrale di Cognetti).

Ma le stelle non rispondono, perché “la natura ama nascondersi”. Lo ha scritto, duemila e cinquecento anni prima, Eraclito.

Le otto montagne; La felicità del lupo, Einaudi; Illustrazioni cover by Nicola Magrin