Zweig incontra Magellano

photo © Rotta di Magellano

di Ercole Giammarco

“La vera creazione è sempre l’opera del singolo”
Stefan Zweig

 

Lo stretto di Magellano prende il nome dell’esploratore che lo scoprì nel 1521. Ferdinando Magellano, ammiraglio dell’esercito coloniale portoghese, aveva un’idea fissa: raggiungere le Indie dall’Europa navigando da ovest verso est, passando quindi dall’oceano Atlantico all’oceano Pacifico, fino alle Molucche, “le isole delle spezie”, un arcipelago indonesiano, nodo commerciale strategico per L’Europa di quel periodo.

Alle Molucche in realtà era possibile arrivare anche navigando verso oriente, ma bisognava costeggiare l’intero continente africano. La strada individuata dal navigatore portoghese, oltre a disegnare la prima circumnavigazione dell’intero globo terraqueo, era molto più breve e dette all’impero spagnolo, che gli finanziò la spedizione, un vantaggio competitivo commerciale colossale (sì, Magellano, portoghese, fu finanziato dalla corona spagnola. Ci arriveremo: è una storia un po’ complicata).

Esattamente 500 anni dopo Stefan Zweig, uno dei più famosi scrittori europei della prima metà del ‘900, scrive la biografia di questo grande navigatore. Non è un caso se il biografo di Amerigo, Maria Antonietta, Erasmo da Rotterdam e Balzac decide di mettere mano a questa storia: aveva una trama da best seller già tutta scritta: complotti, fallimenti, eroismo, trame politiche, fortuna, personaggi indimenticabili (sia “buoni” che “cattivi”).

Non sarò io a raccontarvi questa storia nei dettagli, perché leggere Magellano è un piacere che non consente alcuna scorciatoia.

Mi limiterò a elencarne gli ingredienti.

photo © Prima edizione, A.Mondadori, 1938 Milano 

Magellano scova una vecchia mappa nella quale è riportato un passaggio dall’oceano Atlantico verso l’oceano Pacifico attraverso il Rio de La Plata. Decide, seguendo quella mappa, di tentare la prima circumnavigazione del globo. Non riesce a farsi finanziare dal re di Portogallo, influenzato da un ambiente di corte ostile al navigatore, e senza farsi scrupoli va in Spagna, il Grande Nemico, e convince Carlo V a mettergli 5 navi a disposizione e un equipaggio di 265 uomini (ne torneranno a casa 18).

Il viaggio inizia a Siviglia il 10 agosto 1519. Dopo una serie di peripezie (fra cui l’inseguimento di 4 navi da guerra dell’impero portoghese e un primo ammutinamento) finalmente la flotta arriva a navigare nella zona indicata dalla mappa, ma… la mappa era sbagliata! Cioè: non esisteva alcun passaggio verso il Pacifico all’altezza del Rio de la Plata.

Una persona sensata sarebbe tornata indietro ma Magellano non era una “persona sensata”. E, mentre l’inverno australe stringe in una morsa di ghiaccio le sue navi e il loro equipaggio, inizia una via crucis che lo porta a esplorare qualsiasi braccio di mare che si insinuasse nella terra ferma, qualsiasi foce di fiume, con una testardaggine che rasenta la follia, per capire se “sbucassero” dall’altra parte del continente americano.

Durante questi tentativi molti marinai muoiono di freddo e di stenti. Scoppia un secondo, comprensibile, ammutinamento (soppresso nel sangue) contro quell’ammiraglio silenzioso, testardo, animato da una ossessione che sembra nascondere il fuoco della follia.

Ma quel maledetto passaggio Magellano alla fine lo trova. Lo trova contraddicendo il buon senso e la volontà di tutto il suo equipaggio, con una determinazione basata su niente, anzi su una mappa che si era già rivelata sbagliata.

photo © Monumento alle Scoperte, Lisbona

Poi (la faccio molto breve): scorbuto, tempeste, guerre con gli indigeni, altri ammutinamenti.  Magellano in Europa non riuscì a tornare. Fu ucciso durante una battaglia con una tribù delle Molucche. Quella scaramuccia letale poteva evitarsela: si era intestardito a evangelizzare una piccola comunità di indigeni incontrata lungo la strada. Evidentemente gli indigeni non la pensavano nello stesso modo.

La storia di Magellano sarebbe un boccone ghiotto per molti scrittori. Ma perché (come è evidente leggendo il libro) Stefan Zweig subisce una fascinazione così forte da quella storia, anzi, da quell’uomo che si intestardisce su un errore, continua a perseguirlo contro ogni principio di realtà e alla fine riesce a raggiungere il suo obiettivo quasi fosse creato dalla forza della sua determinazione?

Per capirlo dobbiamo sbirciare dentro la biografia dello scrittore austriaco. Zweig nasce a Vienna nel 1881. Cosmopolita, coltissimo, strinse amicizia con molti grandi intellettuali d’Europa. La sua casa era frequentata abitualmente da personaggi che hanno costruito la Cultura del novecento europeo: Freud, Rilke, Von Hofmannsthal, Richard Strauss, Hesse… 

In realtà prima della Grande Guerra l’intera città di Vienna era un salotto culturale. Nei caffè la gente si nutriva di arte, di filosofia, di letteratura e di musica oltre che di sacher, torte e caffè (e avevano il buon senso di mettere tutto sullo stesso livello).

La forza della Ragione, cosmopolita, raffinata, tollerante, dominava incontrastata. Niente sembrava poter turbare il grande Rinascimento austriaco. Poi, quasi senza un motivo preciso o comunque convincente, nel 1914 l’Austria entra in guerra. E dopo una terribile sconfitta pochi anni dopo arriva Hitler, e l’annessione alla Germania. La Ragione si addormenta, e da quel sonno vengono generati i peggiori mostri in duemila anni di civiltà occidentale.

Zweig, ebreo, è costretto a fuggire dalla sua patria. Vagherà per il mondo, esule, fino al 1941, quando si toglie la vita in un albergo di Petropolis, in Brasile.
Accanto al suo corpo un biglietto, con questa frase: “Saluto tutti i miei amici! Che dopo questa lunga notte possano vedere l’alba! Io che sono troppo impaziente, li precedo. (…) Penso sia meglio concludere in tempo e in piedi una vita in cui il lavoro intellettuale significava la più pura gioia e la libertà personale il bene più alto sulla Terra.”

Il mondo di ieri è l’ultimo libro del grande intellettuale viennese, il suo più bello, e racconta il tramonto repentino e imprevedibile di quel mondo.

Cosa lega, quindi, la drammatica vita di questo scrittore a un personaggio come Magellano? La risposta, forse, può trovarsi in una parola: carisma.
Stefan Zweig credeva che la Storia fosse fatta da pochi, grandi uomini. Il resto dell’umanità, manovalanza.
Magellano sembra confermare questa tesi: col suo grande carisma convince il re di una nazione straniera a finanziare una imponente spedizione sulla base di una vecchia mappa inaffidabile, tiene a bada quasi trecento marinai mentre li sottopone a fatiche immani e senza senso. Per poi dimostrare di aver ragione, contro ogni ragionevole dubbio e cambiare così gli equilibri geopolitici del suo secolo.

Ma il biografo del grande navigatore vive in un periodo storico in cui ben altri personaggi sembrano dimostrare la stessa tesi: i leader dell’interventismo sono spesso intellettuali affascinanti e l’ascesa di Hitler e Stalin sembra confermare, stavolta drammaticamente, che “la Storia è fatta da pochi uomini”. 

Magellano per Zweig rappresenta il modello del grande eroe che da solo riesce a cambiare il corso della storia. Ne è ammirato, affascinato, ma mentre scrive di lui capisce che esiste un terribile rovescio della stessa medaglia e che il carisma, le grandi leadership individuali sono armi a doppio taglio.

Se leggete questo libro, e poi il suo potente affresco autobiografico, capirete meglio cosa sto cercando di dire.

Edizioni Frassinelli, Garzanti, Rizzoli